Intervistare un’artista non è mai semplice: c’è poco tempo a disposizione, tante domande, la curiosità che prevale e le risposte che tardano spesso ad arrivare. Valeria, al contrario, ha la capacità di farti ritrovare in ciò che dice perchè in fondo ‘Mia’ è un album di tutti, per tutti. Cantautrice pugliese e romana d’adozione, Valeria Vaglio ha partecipato a Sanremo 2008 con il brano “Ore ed ore”. Dopo aver pubblicato gli album “Stato innaturale”, “Uscita di insicurezza” e “Il mio vizio migliore”, è arrivato il suo quarto lavoro in studio intitolato “Mia”, un cambio di marcia allo stile che da sempre la contraddistingue, passando per sonorità elettroniche e quell’innovativo stile di scrittura che la rende unica nel suo mondo.
Ciao Valeria. Mia è il titolo del tuo nuovo album, uscito il 29 marzo dopo 5 anni di lavoro. Perché l’esigenza di chiamare l’album in un modo così personale?
Mia è il pezzo più arrabbiato del disco: è un significato intrinseco perché quando mi sono arrabbiata sono diventata davvero “mia”. Spesso consentiamo a delle persone di trattarci in un modo davvero assurdo a causa di una mancanza di autostima nostra. Quando ho ripreso possesso di me stessa, ho capito che dovevo necessariamente cambiare, in primis per me.
Questo album arriva dopo cinque anni di lavoro, abbiamo detto. Cosa hai fatto in questo periodo di tempo?
C’è stato un momento che avevo bisogno di stimoli nuovi: mi stavo annoiando e così ho deciso di laurearmi in video design, unendo musica e video. Noi ci evolviamo, ma ci costruiscono spesso un vestito addosso dal quale poi è difficile uscire. Scrollarsi di dosso vuol dire accantonare completamente una cosa per dedicarsi ad altro. Qui invece io sono ritornata facendo capire che Valeria Vaglio è tante cose. Fatevene una ragione.
Dal mondo acustico al mondo dell’elettronica: questo disco l’ho ascoltato e parla di una Valeria arrabbiata, che ha voglia di farsi sentire. È così?
Si, assolutamente. Questa rabbia è venuta nel momento in cui io stavo assumendo la consapevolezza di ciò che volevo essere. Molto spesso credo che le persone vedano in noi i lati più superficiali. Il “nuovo” sicuramente spaventa: oggi ho la libertà di poter tirare fuori un lato di me che prima probabilmente era sensibile. Non ho più paura di mostrare anche le mie debolezze. Io sono questa, fate voi.
Quando canti i tuoi brani, davanti agli occhi dell’ascoltatore è un susseguirsi di immagini. Mi ha molto colpito in cartella stampa il tuo racconto “track by track” con frasi rapide e riferimenti a colori. Come mai questa scelta? Qual è il tuo colore preferito e di conseguenza la canzone che senti più tua?
E’ stata davvero una cosa naturale: siamo talmente distratti in questo periodo che penso ci sia bisogno di un concetto visivo al quale aggrapparsi. Il mio colore preferito è sempre stato il rosso (“Mia”). Io ho dato un colore oro a “le cose che dicono” ed è il pezzo al quale sono particolarmente legata perchè ha un valore affettivo molto importante, quindi direi rosso e oro al momento.
Quanto è importante per te riuscire a rappresentare con immagini in video i tuoi brani?
Il videoclip tende a raccontare una storia, mentre nelle mie canzoni le immagini le si vedono già. Lo trovo un modo per rafforzare ciò che racconto nei miei brani.
Come verrà trasformato “Mia” nella dimensione live?
Ho pensato a due strutture diverse per il live. La prima è quella che ho presentato a Roma a “l’asino che vola”: 5 musicisti più me. L’idea che io ho è quella di proporre anche un deejay set: io con la tastiera synth. La mia idea è abbattere il muro tra pubblico e artista: lo spettacolo farà ballare e diventerà una cosa di tutti. Per me sarà una gran bella novità.
Nel 2008 hai partecipato a Sanremo Giovani e da allora sei simbolo della comunità LgBt per aver cantato l’amore per una donna. Che differenze trovi tra ieri e oggi?
Il 2008 era la prima volta che si presentava a Sanremo un brano dedicato ad una donna. Mi fa piacere perchè il messaggio è stato percepito. E’ ovvio che a distanza di 11 anni ci sia una maggiore attenzione ed esposizione da parte degli artisti in prima persona. Questo però non colma un grande buco che c’è ancora: se si parla dell’artista allora tutto è contemplato, per la “persona comune” invece no. Se ne può parlare meglio, è un equilibrio molto delicato. Soprattutto il tema dell’omofobia.
Qual’e il sogno più grande di Valeria?
La cosa più importante alla quale ambisco nella vita è essere serena. Non c’è niente legato ad una cosa tangibile. Vorrei continuare a scrivere, a fare questo lavoro e a stare bene.